Franco Battiato |
Franco Battiato, senza dubbio il più particolare, misterioso ed enigmatico personaggio della musica italiana d'oggi, è riuscito a conoscere la popolarità ed il consenso di una vasta area di pubblico giovane e non con la pubblicazione dell'LP La voce del padrone. Ed anche un giornale a grossa tiratura come Sorrisi e canzoni TV ha pubblicato nelle ultime settimane una sua intervista. Ma come è potuta avvenire questa immissione, che ad una visione superficiale potrebbe parere surrettizia, nel mondo della canzonetta e della cronaca allampanata di qualche rivista che di specialistico ha solo i programmi TV?
Il musicista, arrangiatore, compositore e cantante Battiato era già conosciuto ai più vicini al problema musicale e ai giovani utenti non manipolati dai ritmi carburati e conditi di stupidi ritornelli.
La sua attività, che inizia nel 1968 (1) quando prende parte al Disco per l'estate con il brano È l'amore (2), è ricca di eventi, di citazioni di sé e della stupidità altrui, intrisa di “cantate” derisorie e divertenti e al tempo stesso di cultura, di quella che alla trasgressione unisce l'effetto sul pubblico.
«...Volano gli uccelli volano / Nello spazio tra le nuvole / Con le regole assegnate / A questa parte di universo / Al nostro sistema solare...» ed è subito chiaro come in questo momento Battiato abbia saputo unire all'esoterismo di sempre l'abitudine di parlare ad altri ed al pubblico. Questa pseudoloquacità fatta di frammenti, di svalutazioni della parola, il modus vivendi, il look del suo personaggio non sono costruiti da null'altro che dalla sua volontà di freddare e di flirtare con le sensazioni e gli stati d'animo, per ridicolizzarli nel grottesco dell'ironia: «...La voce ed i testi sono necessari per arrivare a comunicare in quanto sono il linguaggio dei mezzi di comunicazione che hanno dei ritmi codificati cui non si può sfuggire se si vuole essere comprensibili. La musica non è più sufficiente perché la gente è disattenta ed ha bisogno sempre delle solite cose, e far passare attraverso le solite cose un'aria, una visione del mondo, un'idea, è meglio che appartarsi».
Governato da una solida preparazione musicale, Battiato si giudica ed inveisce, squittisce ed oltrepassa la canzonetta dimettendola dal bordello codificato dei mass media.
Nei suoi testi l'impermeabilità della maschera, del camuffamento fanno affiorare spesso mille ricordi, mille frasi prese in prestito da autori come Pascoli o Leopardi. Ma non bisogna confondere la disfemia del suo linguaggio con la vitalità della sua musica. A quella che lui chiama «cultura demenziale» aggiunge un unicum musicale e sonoro, soprattutto vocale.
Le sue “buone” letture, che comprendono Proust, Nietzsche e Schopenhauer, irradiano senz'altro il suo credo musicale. Egli scrive per ridere con ironia «dell'animale più domestico e stupido che c'è», quando le giornate non sanno cosa inventare ed una canzone può farti baluginare un ricordo, uno spezzone irriverente di te o del tuo passato. Quanto alla scelta della canzonetta per comunicare afferma: «Non è scritto da nessuna parte che io abbia iniziato il mio cammino in un posto, e che debba arrivare in un altro seguendo una linea retta. Lungo il percorso si possono fare anche delle divagazioni, o addirittura tornare indietro. Voglio cercare di applicare le mie invenzioni, le mie scoperte finora esoteriche, a forme di comunicazione più piane, come per esempio la canzonetta, con un suo ritmo ed una sua melodica. A partire da questo cambiamento spero di colpire più persone di quante non abbia colpito finora... Un medium come la radio mantiene dei ritmi ben precisi: per cui, o ci stai, a quei ritmi, o non ci stai. A me interessa, ora, questo tipo di esperienza, e quindi ho fatto un prodotto. Però mi auguro che dentro ci sia sempre un qualche segnale di disturbo, che possa far cogliere anche delle altre storie».
L'andamento aforistico dei suoi testi conserva forse nell'intimo il ricordo acerbo e passivo di una citazione della nostra memoria storica che può essere solo riportata alla nostra mente così come era stata scritta senza il filtro del moderno.
E così la politica e la contemporaneità intese come cronaca del quotidiano non interessano Battiato. La sua visione, se esiste per lui un video che racchiude la spazialità del pensiero individuale, rivolta all'universalità del nostro oggetto sapiens, l'uomo, devia il suo corso.
La conoscenza si fa immagine ed indagine mistificante se la scala dei disvalori e dei valori non modifica nell'essenza.
Ed essenziale diventa così il suo linguaggio, un cadavere forse del mélange friabile del nostro dire.
Ama e conserva nella sua musica lo spirito del non detto, la smania incrollabile di significanze cifrate del nostro ego. E «la fantasia dei popoli che è giunta fino a noi non viene dalle stelle...» con «l'impero della musica è giunto fino a noi carico di menzogne» permettono un avvicinamento concreto forse alla cosmogonia di Battiato e alla sua Weltanschauung fatta di rapidi passaggi nella cultura, nei libri e la contemporaneità di quei giovani che vedono nel misticismo le risoluzioni con il “vestito arancione” di ogni problema personale ed ideologico.
«Credo sia sempre necessario un controllo, freddo, della parte di fanatismo che c'è in ciascuno di noi. – Afferma – Le mie ironie sono rivolte soltanto a chi, ciecamente, vede in un vestito arancione la salvezza». Né per lui «l'era del cinghiale bianco» diventa la panacea dei piccoli e bigotti problemi storici ed ideologici. «L'etica è una vittima incosciente della Storia», ma la storia con quale -ismo?
La sua cultura si è formata per approssimazione da saggio. Il saggio docente che può essere Stockhausen o Nietzsche, Feyerabend o la scrittrice Fleur Jaeggy, l'articolo di un giornale che trasforma il discente, lui stesso, in un apostrofo del pensiero. Quando uscì l'LP Sulle corde di Aries con Stockhausen in copertina, il retroterra conoscitivo di Franco Battiato era ancora poco felice e soprattutto poco felicemente ancorato a convinzioni capillari e durevoli. Il suo tessuto connettivo, tra la musica e se stesso cioè, era di «una cultura scadente, da liceale... Sono arrivato al punto di leggere “in verticale” cinque libri per volta, con una fame incredibile, quasi patologica, di nozioni. Ho avuto anche l'iniziazione alla nostra benamata Mitteleuropa, con tutto il tedescume e le problematiche relative».
E forse lui, ora così saccentemente catapultato verso gli stimoli della cultura asiatica o dell'esoterismo tout-court, che esprime nella sua musica più spirito mitteleuropeo di quanto voglia far credere, aveva visto nel macinato della cultura della Vecchia Europa l'odore della tortura della nozione e delle risoluzioni speculative risanatrici di problemi molto più elementari: «...nel momento in cui arriva la parola fine nella vita di un individuo, tutte le cose importanti del passato diventano assolutamente vuote e prive di senso. Questo tipo di civiltà ci porta sempre più lontano da un rapporto vero con la morte, e quindi, in ultima analisi, lontano anche da come dovremmo vivere la vita. Arriveremo al giorno in cui una stanza d'albergo ed un letto ci sembreranno tutto».
Il pensiero dunque non si fa complice di un risveglio di una metempsicosi caduta da un ragionamento categoriale. Le categorie e la sinossi del suo sapersi nel mondo e nelle sue categorie intendono affatto il ricercare speculativo e sistematico. Nel suo risvegliare mille cose dette o sottintese tra le righe di un discorso che non diventa “metaconcettuale”, altrimenti sarebbe categoriale esso stesso, ars cognoscendi che con un salto riesce a giungere al segreto dell'opera dell'uomo e della sua origine.
E allora il “cinghiale bianco” diventa, come per la tradizione celtica, la ratio spirituale, il simbolo per conquistare il Conoscere. Afferma: «Il cinghiale bianco indicava presso i Celti il sapere spirituale, la Conoscenza. Penso che sia venuto il momento di non perdere più tempo appresso ai problemi sociali ed economici, facendoli apparire come inesorabilmente oppressivi ed unici responsabili del nostro star male. Perdere tempo intorno alla dialettica servo-padrone ha il solo scopo di allontanare dai problemi ben più seri e fondamentali, quali per esempio la comprensione dell'universo e della relazione nostra con esso. Un esempio: quest'estate ho fatto un corso di ceramica. C'era un maestro che insegnava le sue tecniche e noi eravamo i suoi discepoli. Quale poteva essere il problema? Lui sapeva e noi dovevamo apprendere. In me non c'era invidia verso di lui, ma un ottimo rapporto di voler entrare in possesso delle sue conoscenze, per padroneggiare meglio la materia».
L'inesistenza di una trama cui poter rimontare e l'impossibilità di un pur minimo abborracciamento di una melodia consequenziale e ragionata fanno diventare, dunque, la parola stessa materia plasmabile.
Si rimane così di fronte ai testi di Battiato come davanti ad un amuleto, ad un feticcio che nasconde ed impedisce, che si muove in limine alla sua inaccessibilità. Può risvegliare o far vedere fraseggi intimissimi e profondi del nostro vagabondare quotidiano nel circuito del nostro pensiero-immagine-dolore-piacere-amore, ma mai imporsi al nostro déjà vu come logicità. Lo si odia o ce se ne innamora.
Un continuum, dunque, tra la logicità del nostro operare quotidiano e l'interposizione di sì e di no, di incertezze-certe e viceversa. Di contro una scelta oculata, ci si riferisce solo ai testi, del proprio vocalizzare. Non mancano però esempi di dicitura estranei al proprio modus operandi. In Patriots il brano Le aquile, tratto dal romanzo di Fleur Jaeggy Le statue d'acqua, è indicativo in questo senso. Non abbiamo un rimario scelto tra gli intrighi del conosciuto come per i brani Pasqua etiope o Stranizza d'amuri dell'LP L'era del cinghiale bianco, ma un testo che impedisce e nasconde nella metonimia del suo linguaggio, che indispone l'analisi. Il Battiato del testo vocalizzato e scritto è un metteur en scène dei guazzabugli di piccole verità di frasi di Guenon o Leopardi, o ancora di testi per intere canzoni come ha fatto per la Jaeggy. Ma allora quest'accanimento sul o contro il testo, se «l'uso dei testi – come lui stesso afferma – è sempre demenziale», dovrebbe rimanere subordinato alla musica e sempre al bordo di un discorso musicale più forte ed importante: «...È un divertimento, lo considero tale; mi diverto con un distacco ben preciso. Però si possono fare delle cose di un certo interesse, anche in questo modo».
Ed infatti l'operazione è tutta lì. Il terminale di ogni programmazione di ogni viaggio, nella parola d'ordine dell'LP L'era del cinghiale bianco: «Non si può mostrare ciò che si è: si mostra ciò che gli altri possono vedere». Siamo di fronte ad un'operazione testuale che pur passando attraverso le varie esperienze di Battiato dimostra ed annoda un filo sottile ed imperituro.
Sempre attentissimo alla facile ritualità di costruire fasce di discorso conosciute, Battiato, dopo aver operato nell'avanguardia, non ha mai smesso di combinare a questo modo di suonare la ricerca musicale e la sperimentazione. Afferma: «...mi sono trovato ad avere predisposizione istintiva per la musica fin dalla tenera età come si dice. Però mi sono messo a studiarla seriamente solo molto tempo dopo, quando avevo già fatto il mio ingresso nel pop, parlo degli anni intorno al 1975. Fino a quel periodo io non conoscevo la notazione musicale tradizionale, così ho deciso di affiancare questo studio ad un altro, che non ho mai abbandonato, la ricerca del suono; direi che la consequenzialità è quasi logica». E forse è stato proprio il suo incontro con Stockhausen a spronarlo nello studio. E se afferma: «Stockhausen oggi lo conoscono tutti perché l'ho portato fuori io, nei primi concerti. Se no, sarebbe ancora di un'élite, come negli anni sessanta», ciò non gli impedisce di dichiarare che «il complesso dei musicisti contemporanei è dei più demenziali della storia». Infatti definisce Stockhausen, Cage ed altri dei “teorici” mentre lui è inevitabilmente un “pratico”.
«Oggigiorno i “pratici” sviluppano a loro modo la tradizione musicale italiana, che un tempo poteva essere rappresentata da Verdi e oggi è diventata musica leggera. I “teorici” si muovono nelle strutture istituzionali ereditate dalla seconda rivoluzione industriale: sono come scienziati finanziati per isolarsi a cercare cose che la gente non può capire... Poi tra cinquant'anni vedremo di farne un patrimonio comune a tutti. Così rischiano di non accorgersi che il mondo cambia e loro continuano a progettare percorsi su binari morti. La differenza fra “pratici” e “teorici” è la stessa che passa tra le coordinate tracciate su carta e un percorso vivo sul terreno. Lo spazio ai primi è concesso dal potere; i secondi se lo trovano da soli nella stessa realtà quotidiana...».
«Il tempo cambia molte cose nella vita / il senso le amicizie le opinioni / che voglia di cambiare che c'è in me / si sente il bisogno di una propria evoluzione...». È l'introduzione di un frasario particolarissimo ma anche di parole e personaggi sconosciuti prima al mondo della “canzonetta”, anche se d'élite. Non il frasario pseudoletterario di quei cantautori italiani che rispolverano il proprio piccolo mondo letterario. È un senso comune, una parlata gelida come gran parte della musica di Battiato.
«...Faccio uso di materiali
che non necessariamente si riferiscono alla mia autobiografia. Poi perché
non ho necessità di esprimermi attraverso questo mezzo: cioè se
mi trovassi in un'isola deserta non sentirei affatto il bisogno di imbracciare
una chitarra e cantare un mio testo.
Voglio dire: per conto mio, non farei canzoni. In fondo sono cosciente che si
tratta di una scelta di linguaggio coatta, imposta dai mezzi di comunicazione
e dalle persone verso le quali ci si rivolge. Ci sono delle regole da rispettare:
non si può giocare con un altro mazzo di carte. Ma io non sento nessuna
frustrazione particolare, nessun impulso a sfogarmi attraverso quel particolare
linguaggio. Sì, penso proprio che questa sia la principale differenza tra
me e il modello standard del cantautore: la coscienza di stare al gioco ma senza
sentirlo né come una costrizione né come un vizio».
Ma oltre l'operazione, diciamo così, testuale il “cantante” considera nella musica, nella sua musica fredda, glaciale, distaccata, la fonesi e l'afasia che oltre ad essere del linguaggio ritorna ad essere soprattutto fonema, suono.
Al primo periodo, quello della canzonetta, appartengono i brani inseriti in questo disco, È l'amore, Fumo di una sigaretta, Lacrime e pioggia, Gente, Occhi d'or, tutti del 1969 (3) e tutti usciti a suo tempo su 45 giri (4). Sempre dello stesso anno, quel 1969 che Battiato in seguito volle in un certo senso rinnegare, sono Sembrava una serata come tante, Iloponitnatsoc e Bella ragazza, che mostrano un cantante-autore già distaccato dalla canzone di consumo. Marciapiede del 1971 rappresenta l'anello di congiunzione con il periodo successivo (5), quello colto, che va dall'LP Sulle corde di Aries (1973) al Premio Stockhausen di L'Egitto prima delle sabbie (1978) e che comprende inoltre altri quattro LP (Clic, M.elle le “Gladiator”, Battiato e Juke-box). Battiato è passato dopo questo periodo di isolamento e di ricerca alla caratterizzazione pop della propria musica con L'era del cinghiale bianco per seguire poi con Patriots del 1980 e con La voce del padrone del 1981.
La canzonetta kitsch e decodificata, la musica classica contemporanea, l'elettronica e la musica orientale sperimentate con il teatro off hanno contrassegnato le tappe del suo cammino musicale, ogni genere vissuto intensamente e con grande coerenza. Sul palcoscenico e sul suo viso slavato e distante corrono per mille mimiche le presenze indistruttibili dei suoi giudizi, delle sue glabre assenze di battute e di guizzi quotidiani.
La collaborazione con Giusto Pio è l'unica sua stabile intesa musicale e di lavoro. «...L'ho conosciuto come mio insegnante di violino. Poi ho cominciato a proporgli collaborazioni quasi per scherzo. Erano i tempi di Juke-box: facevo concerti d'avanguardia e ad eseguire mie composizioni chiamavo appunto Giusto Pio, Maria Alide Salvetti e Antonio Ballista. Finché una domenica, quasi per caso, gli ho proposto di seguirmi in un mio progetto di musica leggera... Ma non tutte le esperienze con colleghi sono così positive. Di recente in RAI ho tentato anche un'esperienza con la grande orchestra; ma non puoi immaginare quanti professionisti sono privi di qualsiasi interesse o amore per la loro professione».
Era il periodo della musica come fine e non come punto di partenza come la intende lui stesso ora.
Frequentazioni dell'animo e del vissuto suoi testi stanno addivenendo ad una posizione di maggior credito. Ma il successo quasi casuale che ha contrassegnato il suo ultimo LP (La voce del padrone ha venduto fino ad oggi 100.000 copie) non ha tolto nulla alla ricerca sempre presente e costante di Battiato.
Sin dal 1977 la coltivazione e la mescita di suggestioni mitiche non ha dissolto il musicista dalla ricerca teorica e dallo studio della voce e del suono. La teoria sperimentale non elitaria ed ammaliata di un Cage o di uno Stockhausen hanno avuto in lui la praticità e la fattualità del referente. Così come ha tentato una risoluzione di vita nell'esoterismo e nell'appagamento del mito dei suoi “vicini” primordiali spiriti, così il pubblico ha ricercato il transfert nel rapporto del mito o se vogliamo della favola, della capacità cioè di affascinare con la fabula e con ciò che la favola ha dietro la riflessione ed il cogito: «...È una scelta istintiva. Ma penso che sia motivata dalla mia grande fiducia nella forza del mito. Pensa al fascino che esercita la fiaba sui bambini, in tutti i tempi. Ecco io non credo che sia necessario che il pubblico abbia letto Guenon per capire la mia canzone. È sufficiente che si risvegli quel senso di allarme, che è poi la disponibilità di ciascuno di noi al mito».
Infatti non ha scelto, e non ne ha avuto bisogno, di tradursi o di semplicizzarsi per farsi ascoltare all'estero poiché la semplicità di farsi capire è in sé nel testo musica del dualismo di mito ed evocazione sonora.
Oltre alla ricerca ed alla collaborazione con musicisti di talento come Giusto Pio, la soprano Maria Alide Salvetti e Antonio Ballista, è esistita per lui la collaborazione con Milva o Alice o Junie, con quel mondo della canzone cioè che gli è ritornato tra le mani quando si è accorto che «...il rigore, la purezza o il rifiuto di ogni mediazione è un miraggio, non esiste. E non ha senso essere vittima di una ideologia dello sperimentatore, costruita chissà da chi».
Franco Battiato - Gli anni Sessanta